Detenzione domiciliare Un film di Gianni Sartorio
La volontà di raccogliere, da una persona che molto ha vissuto, viaggiato, combattuto e sofferto, elementi di esperienza sui “muri". Quelli veri, che vengono dopo – e prima – di quelli metaforici. Le prigioni. Le nostre barriere culturali. Storicamente a danno dell’elemento femminile. Marginalizzato un tempo e ora. Dentro e fuori dalle galere e dai limiti sociali. Raccontati da chi è costretto in una casa che ama, ma che non può abbandonare. E, attraverso l’uso dello split screen, la descrizione di un prisma di esperienze e sofferenza, nella sua gestualità, con il codice interpretativo della comunicazione, analogica e numerica, come segno distintivo di una vita spesa verso una dimensione ideale.
Adriano Sofri perché? Ultimo carcerato, chissà, (a domicilio, certo, per gravi ragioni di salute) , di una generazione che ha provato a rovesciare il mondo e a portarvi giustizia. Uno sconfitto. Forse il più sconfitto fra noi, ma portatore di lucida intelligenza e di cultura sopraffina. Detenuto domiciliare mentre i pluriomicidi e gli stragisti lasciano il carcere e rilasciano interviste. Nonostante – o proprio a ragione di- una costante propugnazione d’innocenza. E, insieme, opinion leader, sui media, per tanti, soprattutto i giovani, che conoscono la sua firma, ma, probabilmente ne ignorano le fattezze. Uno che i muri se li è andati a cercare in Cecenia o a Sarajevo. O semplicemente rifiutando la fuga. Uno del quale la memoria non si esaurirà presto.