La storia dei Truzzi Broders non è soltanto la storia di una band, è anche la storia di una città e di una scena musicale. Dentro ci si ritrova una Torino che scopre la crisi della sua anima industriale, il disagio dei quartieri di periferia e i ragazzi alla ricerca di una loro identità. È però anche una città vivace, dove si respira un’energia creativa che dà vita a una scena musicale punto di riferimento in tutta Italia. Sono anni fondamentali per la città, che passa da città deserto a città viva grazie all’impegno e alle idee di un gruppo di ragazzi poco più che adolescenti. Un periodo importantissimo e poco raccontato che i ragazzi delle nuove generazioni ignorano.
A noi, che non l’abbiamo vissuto, piaceva l’idea di raccontarlo attraverso lo sguardo dei Truzzi Broders, forse perché, in un certo senso, è anche un po’ il nostro sguardo.
I Truzzi Broders si lasciano influenzare dai punk soprattutto per l’autoproduzione, il do it yourself e la voglia di fare musica con i mezzi che si hanno. Musicalmente sono però diversi, propongono un rock grezzo cantato in italiano. E diverso è anche il loro atteggiamento: la rabbia c’è, ma è filtrata dall’ironia e dall’autoironia, si prendono poco sul serio e lo dimostrano nei testi e nelle esibizioni dal vivo. La critica del tempo li etichetta come demenziali, anche se a ben vedere di demenziale c’è poco in loro.
Amano raccontare la realtà di tutti i giorni, la vita dei ragazzi nei quartieri, i problemi della Torino di allora. Per usare le loro parole:
«È per uscire vivi dai nostri quartieri che facciamo il rock, amico».